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 Civiltà precolombiane : Atzechi, Inca , Maya, Una storia indelebile.

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MessaggioTitolo: Re: Civiltà precolombiane : Atzechi, Inca , Maya, Una storia indelebile.   Civiltà precolombiane :  Atzechi, Inca , Maya, Una storia indelebile. Icon_minitimeSab 11 Dic 2010, 14:40

Inca


Gli Inca furono gli artefici di una delle maggiori civiltà precolombiane che si sviluppò nell’altipiano andino, tra il XIII e il XVI secolo, giungendo a costituirvi un vasto impero.Il termine Inca è perlopiù usato come sostantivo, generalmente al plurale (gli Inca), ma viene utilizzato anche come aggettivo per qualificare manifestazioni varie di questo popolo (ad esempio si utilizzano espressioni quali architettura inca, religione inca, scrittura inca). Il complesso delle attività culturali e formative della collettività in esame viene comunemente indicato come civiltà inca, ma non è raro l'utilizzo del termine gli Inca per riferirsi, in senso lato, alla loro cultura.Civiltà precolombiane :  Atzechi, Inca , Maya, Una storia indelebile. 330px-MapaPer%C3%BA.Benard
Gli studiosi di storia precolombiana si sono sempre domandati se gli Inca fossero stati una stirpe autoctona o se fossero giunti nell’attuale Perù a seguito di una migrazione da paesi lontani. Particolari ricerche sono state indirizzate a risolvere il problema esaminando gli aspetti legati alla morfologia, all’archeologia e alla linguistica, mentre altre si sono orientate sullo studio dei miti delle origini tramandati dai cronisti spagnoli.
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Esami morfologici

Già William H. Prescott, nella sua monumentale “Conquista del Perù” aveva fatto riferimento a delle differenze riscontrate tra i cranii di Inca e quelli di peruviani comuni. La sua osservazione derivava dalla lettura di “Crania americana”, un’opera del suo compatriota Samuel George Morton, uscita in Filadelfia nel 1839. Morton aveva effettuato delle accurate misurazioni dei crani delle mummie peruviane con tutt’altro scopo. Era un convinto assertore della teoria della poligenesi e tendeva a dimostrare che le razze umane non derivavano dal medesimo ceppo, inoltre riteneva che la misura del cervello determinasse il livello d’intelligenza. Tuttavia dai suoi studi emergeva che i crani di Inca differivano da quelli dei loro sudditi comuni per un angolo facciale molto più sviluppato.Le sue osservazioni hanno alimentato per lungo tempo la convinzione che gli Inca appartenessero ad una razza estranea alle Ande, ma i moderni ricercatori hanno opposto alcune considerazioni assai penetranti. Secondo loro, le ricerche di Morton sono state effettuate su un numero troppo esiguo di reperti per poterle accettare come conclusioni generalizzate. Inoltre il professore americano non ha tenuto conto delle pratiche di deformazione del cranio, diffuse nel Perù dell’epoca, che differivano tra etnia ed etnia con risultati anche imponenti.Ricerche sul DNA


Sul piano della ricerca morfologica il quesito è quindi lungi dall’essere risolto, ma in un altro campo della scienza moderna sono in atto delle ricerche assai promettenti. Alcuni studiosi peruviani intendono infatti procedere alla ricostruzione del DNA degli Inca per poter effettuare degli opportuni controlli. Per poter portare a termine una valida ricostruzione è però necessaria una mummia sicuramente “inca” e solo una di quelle appartenenti all’”elite” del tempo, notoriamente dedita all’endogamia, può dare un risultato sicuro.Le mummie dei regnanti sono però andate distrutte, anche se dalle cronache dell’epoca sappiamo che cinque di loro, tre di sovrani e due di loro consorti, sono state seppellite in un fosso dell’ospedale di Sant’Andrea di Lima. Se il ritrovamento di questi resti consentirà la ricostruzione del codice genetico degli Inca, le ricerche potranno essere eseguite, ma esiste anche un’altra possibilità.L’ultimo sovrano Inca, Tupac Amaru è stato decapitato nel Cuzco coloniale e il suo corpo, con la testa separata, è stato inumato in una cappella della cattedrale dell’antica capitale degli Inca. Il suo sepolcro è già stato aperto in passato, ma da allora nessuno ha potuto ottenere dalle autorità ecclesiastiche il permesso di esumare la salma. Recentemente, però la studiosa spagnola María del Carmen Martín Rubio, del Consiglio Superiore delle Investigazioni Scientifiche (CSIC) ha dichiarato di aver scoperto la tomba di un altro Inca, nel convento di San Domingo del Cuzco e di aver appreso da dei documenti conservati nel convento stesso che si tratta di Paullu Inca, zio, per parte di padre, di Tupac Amaru. La sua indiscussa autorità professionale dovrebbe consentirle di effettuare quelle ricerche che ha in progetto di fare sul DNA delle spoglie dei due personaggi, per confrontarle preliminarmente tra loro e successivamente con le mummie comuni peruviane, sciogliendo così il mistero dell’origine degli Inca. Linguaggio segreto degli Inca

Garcilaso Inca de la Vega assicura nella sua opera “Commentarios Reales” che gli Inca parlavano tra di loro una lingua segreta sconosciuta al resto del popolo. Egli attribuisce a questa informazione una certezza assoluta, asserendo di averla ricevuta da uno dei suoi parenti Inca, di nobile lignaggio, tuttavia rileva che questa lingua era ormai perduta quando egli scriveva e non cita neppure una parola a supporto delle sue affermazioni.Bernabé Cobo ritorna sull’argomento nella sua “Historia del Nuevo Mundo” e conferma quanto detto da Garcilaso. Il gesuita sostiene di aver ricevuto informazioni in proposito dal suo informatore indigeno che cita per nome. Si tratta di Alonso Topa Atau, un nipote dell'antico sovrano Huayna Capac che gli avrebbe permesso l’accesso alle tradizioni più riservate dell’antica stirpe decaduta.Cobo ha approfondito con il suo interlocutore i particolari della questione e dichiara di aver appreso che gli Inca consideravano questo linguaggio particolare il residuo di quello che parlavano nel luogo natio della loro stirpe. Si tratta della valle di Tampu, la stessa in cui è ubicato il sacro luogo di origine della dinastia, secondo i miti riferiti alla nascita dell’eroe primordiale Manco Capac. Cobo, conferma che al suo tempo la lingua in questione non era più in uso, ma dice che ne sussistevano alcuni vocaboli anche se non cita nessuna di queste parole.Una ulteriore affermazione in proposito ci perviene da un altro osservatore spagnolo ancora più antico, Rodrigo Cantos de Andrada, che nella sua “Relación de la Villa Rica de Oropesa y minas de Guancavelica” del 1586, descrive la medesima attitudine degli Inca a usare tra loro un linguaggio “segreto”, affermando che l’uso di questo idioma era severamente vietato agli altri sudditi.In mancanza di dati precisi gli studiosi di linguistica hanno elaborato diverse teorie basate sull’interpretazione di alcuni nomi di luoghi o propri di sovrani che sfuggivano ad una classificazione tradizionale e che potevano essere riferiti al linguaggio segreto degli Inca. Gli esperti si sono divisi circa la loro attribuzione al quechua o all’aymara ma le loro teorie sono rimaste tali senza raggiungere una certezza assoluta. Recentemente, la scoperta dell’opera completa di Juan de Betanzos ha permesso di recepire un breve cantare attribuito al linguaggio particolare degli Inca.Tra gli studiosi che si sono cimentati nella sua interpretazione, Ian Szeminski ha optato per una derivazione principalmente aymarà del testo con inclusioni di altre lingue quechua e puquina. Alfredo Torero ha invece escluso il puquina di cui, tra l’altro, è un dotto investigatore. Rodolfo Cerrón-Palomino, invece, nel suo saggio “El cantar de Inca Yupanqui y la lengua secreta de los incas” ha messo in evidenza come la base del linguaggio segreto degli Inca fosse proprio il puquina.Egli è giunto a questa conclusione, con prove irrefutabili, usando non solo le sue profonde conoscenze linguistiche, ma anche le sue esperienze di studi storici sugli Inca. Dalla sua ricostruzione emerge che gli Inca erano originari di una zona prospiciente al lago Titicaca in cui si parlava il puquina, successivamente scomparso. Abbandonata la regione si sarebbero stanziati nei pressi del Cuzco dove dominava la lingua aymarà per poi imporre a tutti i loro sudditi il quechua come lingua imperante sull’altopiano andino. Il loro linguaggio segreto sarebbe stato un arcaico puquina, dimenticato col tempo da tutti e preservato solo all’interno dell’élite.La sua ricerca proverebbe pertanto che gli Inca sono originari di un’area estranea alla valle del Cuzco, ma collocata comunque sull’altopiano andino, nei pressi del lago Titicaca. Ricerche archeologiche

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Ceramica Inca.



Malgrado le promettenti premesse iniziali, l’archeologia non ha permesso di dipanare il mistero dell’origine degli Inca. Scavi approfonditi nell’area del Cuzco hanno tuttavia dimostrato che l’uso della ceramica inca appare improvvisamente su un anteriore substrato estraneo, a riprova dell’arrivo dei suoi utilizzatori, in situ, quando erano già in possesso delle necessarie tecniche artistiche e costruttive. Successive investigazioni su reperti apparentati trovati in altre aree centroamericane non hanno invece consentito di riconoscervi una origine comune essendo prevalente l’opinione di uno scambio limitato tra diverse culture.Manufatti di natura inca, prevalentemente metallici, sono stati in effetti ritrovati in tutto il continente sudamericano, ma sono frutto di scambi o di razzie essendo i loro possessori ad un livello culturale nettamente inferiore a quello peruviano.Si osserva al proposito che l’esistenza dell’impero inca era già nota ai Portoghesi almeno dieci anni prima della sua scoperta, grazie ai racconti degli indigeni della regione del Rio de la Plata con cui erano in contatto. Un avventuriero lusitano, Alejo García, partecipò personalmente, nel 1526, ad una spedizione effettuata dagli indigeni Guaraní a scopo di razzia giungendo, attraverso la selva, fino ai confini orientali del regno di Huayna Capac. I miti delle origini [modifica]

Il ricordo di una migrazione umana dal Centroamerica all'emisfero Sud del continente traspare in numerosi miti raccolti, dai primi colonizzatori spagnoli, già negli anni immediatamente successivi alla conquista. La maggior parte di questi racconti leggendari sono riferiti ad una indistinta umanità senza distinguere tra le differenti razze, ma alcuni sono specifici di particolari zone geograficamente circoscritte. È questo il caso del suggestivo mito di Naymlap raccolto da Cabello de Balboa che ipotizza una migrazione per mare da Nord fino alle coste centrali peruviane. Si tratta di un antico cantare, molto articolato, che però non ci aiuta a sviscerare il problema delle origini degli Inca essendo attinente solo alle popolazioni della costa.Diverso è il caso del mito tramandato da Anello Oliva nella sua "Historia del reino y provincias Perù". Anche questo racconto ha per scenario la costa peruviana, ma si riallaccia, nella parte terminale, alla nascita degli Inca. Secondo gli informatori di Oliva i primi abitatori del Perù sarebbero giunti da Nord e si sarebbero stanziati nella punta Sant'Elena il promontorio che anticipa il golfo di Guayaquil per i naviganti che giungono dall'Istmo di Panamá. Il loro re, Tumbe, promosse senza esito alcune spedizioni verso il meridione e lasciò il regno a due figli, Quitumbe e Otoya che ben presto si trovarono in disaccordo. Quitumbe abbandonò il paese con numerosi fedeli e giunse fino all'attuale cittadina di Tumbez, per fondarvi un proprio regno. Otoya invece restò nel luogo di origine, ma si dette a una vita viziosa e scellerata che provocò a lui e ai suoi sudditi un proverbiale castigo. La loro terra venne invasa da un razza di giganti che fecero scempio dei poveri indios. I giganti vennero infine sterminati da un dio giovane e volante che li fulminò tutti dall'alto con dei getti di fuoco, ma era ormai troppo tardi per Otoya, morto in prigione e per il suo popolo decimato e disperso.Quitumbe frattanto continuava la sua opera di colonizzazione del territorio giungendo con i suoi fino alle valle del Rímac, nei pressi dell'attuale Lima, dopo aver scoperto e popolato la fertile isola di Puna nei pressi di Tumbez. Preso dai suoi sogni aveva dimenticato la moglie che lo aspettava nel regno del fratello e a cui aveva promesso di ritornare, quando era partito dopo la morte di Tumbe. Costei, Llira, era gravida alla sua partenza e lo attese con fiducia, per dieci anni, dopo aver partorito un figlio a cui pose il nome di Guayanay che significa "rondine". La notizia delle conquiste di Quitumbe giunse infine alla giovane che comprese di essere stata abbandonata. Tramutatosi il suo dolore in odio, Llira cercò il modo di ferire, il più crudelmente possibile, lo sposo infedele. Nella sua ira maturò il disegno di rivolgere la sua vendetta sul figlio comune, immolandolo al suo risentimento e avrebbe dato corso al suo insano proposito se un'aquila non fosse intervenuta a rapire il fanciullo poco prima del sacrificio.Guayanay venne lasciato dal provvidenziale rapace in un'isola flottante che si spostava sul mare e imparò ben presto a sopravvivere alle avversità della natura. Il racconto prosegue narrando le peripezie del giovane che, dopo qualche anno di solitudine, si arrischiò a guadagnare la terra ferma, ma venne catturato da alcuni indigeni. Venne destinato al sacrificio, ma ancora una volta la sorte gli fu benigna. Una fanciulla del luogo, Cigar, la figlia del capo villaggio si invaghì di lui e lo liberò prendendo la fuga insieme al suo innamorato. Dovettero lottare contro gli inseguitori, ma Gayanay era forte e coraggioso e uccise quattro guerrieri mettendo in fuga gli altri. Infine furono in mare con quattro compagni e raggiunsero l'isola flottante.Civiltà precolombiane :  Atzechi, Inca , Maya, Una storia indelebile. 300px-Pachacamac_Mamacona2Civiltà precolombiane :  Atzechi, Inca , Maya, Una storia indelebile. Magnify-clip
Il tempio di Pachacamac.



Quitumbe, nel frattempo era deceduto, ma prima di morire aveva edificato il santuario di Pachacamac e, benedetto dalla divinità, aveva risalito le Ande e fondato il regno di Quito. Il suo erede Thoma aveva emanato severe leggi contro l'adulterio e a far le spese delle nuove disposizioni era stato proprio uno dei suoi figli che, colto in flagrante, era stato costretto alla fuga assieme ad altri suoi compagni per fuggire alla morte. Inseguiti da presso erano giunti fino al mare e si erano avventurati sulle onde a bordo di una zattera di fortuna. Una tempesta li aveva scaraventati proprio sull'isola di Guayanay e i due gruppi si erano fusi in uno solo. Alla morte di Guayanay, suo figlio Atau si trovava alla testa di un gruppo di più di ottanta uomini e l'isola non era più in grado di sostentare una tale moltitudine. Atau era però avanti negli anni e non si sentì di affrontare i pericoli di un viaggio in terraferma, che ormai si rendeva indispensabile, perciò invitò suo figlio a condurre il gruppo dei sopravviventi alla ricerca di una terra in cui vivere. Il giovane condottiero si chiamava Manco ed era destinato a fondare l'impero degli Inca.Manco non si fece pregare per lasciare l'isola. La sua nascita era stata accompagnata da fausti presagi e il suo popolo si attendeva di essere guidato da lui verso la prosperità per cui tutti furono lieti di accettare il suo invito a seguirli sulla terraferma. I partenti si divisero in tre gruppi, ognuno su una flottiglia di canoe. Due di questi gruppi si diressero verso Sud e, malgrado avessero convenuto di far avere loro notizie, nessuno seppe più nulla di loro.L'altro gruppo, con Manco alla testa, stanco delle traversie occorse sul mare, distrusse le canoe e si inerpicò sulle Ande. Dopo un lunghissimo peregrinare raggiunsero il lago Titicaca che presero per un altro mare, data la sua grandezza. Altre genti abitavano il luogo e Manco ebbe un'idea. Abbandonati i suoi compagni, si nascose in una caverna raccomandando ai suoi seguaci di sostenere di essere lì per onorare il figlio del Sole, la cui imminente nascita in quei paraggi era stata pronosticata da alcuni oracoli. Pur non comprendendone la ragione i suoi accompagnatori sostennero questa versione quando furono interrogati dai nativi che li guardavano con sospetto. Il sospetto si tramutò in incredulità, quando fu noto il motivo della loro venuta, tuttavia furono lasciati girovagare, seppur guardati a vista.Quando giunsero nella località di Pacaritambo, da una caverna a tre uscite, videro sorgere un giovane splendente i cui abiti, ricoperti di scaglie d'oro, riflettevano il sole. Era Manco che i suoi fedeli riconobbero immediatamente, ma che intuendo il suo disegno, onorarono come una divinità. Gli indigeni che erano con loro, semplici e ingenui, si unirono alle loro genuflessioni e, in breve, la novella si sparse per tutta la regione. Il dio Sole aveva mandato un figlio sulla terra per governare gli uomini. L'epopea degli Inca era iniziata.Questo mito è assai suggestivo perché abbraccia tutta la presunta la storia degli Inca dal loro ingresso in Perù fino alla nascita della dinastia che avrebbe dominato l'altipiano andino, tuttavia ha il difetto di essere isolato, anche se la modalità della comparsa di Manco ha riscontri anche in altre leggende. Gli Spagnoli che per primi investigarono sulle origini della stirpe che avevano appena sconfitto riportarono, però, dei racconti più consoni alla dignità del capostipite degli Inca che era raffigurato come un veritiero figlio del Sole, chiamato Inti.Il più importante di questi miti ci è stato tramandato da Pedro Sarmiento de Gamboa nella sua "Segunda parte de la historia general llamada indica" del 1572 ed è conosciuto generalmente come la "Leggenda dei fratelli Ayar".
Civiltà precolombiane :  Atzechi, Inca , Maya, Una storia indelebile. 20px-Exquisite-kfindPer approfondire, vedi la voce Ayar.
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Manco Capac
(Guaman Poma de Ayala).



Anche in questo caso Manco nasce in Pacaritambo, da una caverna situata nella collina di Tambutoco, ma assieme a lui sorgono altri tre fratelli e quattro sorelle, tutti usciti dalla finestra centrale, mentre da due aperture laterali prendono vita altre persone destinate a costituire il popolo Inca. Il mito prosegue narrando le vicissitudini di queste genti che si spostano per la contrada cercando delle terre fertili. Durante la loro marcia tre dei fratelli abbandonano la compagnia, uno, di nome Ayar Cache, eliminato per la sua ferocia; un altro, Ayar Ucho, trasformato in pietra a scopi magico-religiosi e il quarto, Ayar Auca autoimmolatosi nella conquista della sede del futuro regno, che avrebbe avuto nome Cuzco. Rimasto solo Manco, ormai chiamato Manco Capac, il possente signore incontrastato, accasatosi con una delle sorelle, Mama Ocllo, avrebbe dato origine alla dinastia Inca.Garcilaso Inca de la Vega presenta una variante di questo mito assai apprezzata per la forma poetica con cui è stata immortalata nei suoi "Commentarios reales". La coppia primordiale è qui unica, costituita da Manco Capac e da Mama Ocllo e sarebbe nata dalla mitica finestra sulla collina di Tambutoco, generata da Inti, il Sole con il compito di cercare il sito più adatto per fondarvi la futura stirpe degli Inca. A questo scopo avrebbe avuto in dono una verga d'oro con cui saggiare il terreno per provarne la fertilità. Dopo vari tentativi e lunghe peregrinazioni i due sposi, fratello-sorella, sarebbero giunti nella zona del Cuzco dove la verga, appena appoggiata a terra sarebbe sprofondata senza sforzo. Rese grazie al divino genitore, Manco Capac e Mama Ocllo, avrebbero costruito un tempio in suo onore e successivamente attorno a questo sacro edificio avrebbero fondato la futura capitale dello stato inca.Oltre a questi miti ufficiali che celebravano la maestà degli Inca, gli Spagnoli hanno raccolto altre tradizioni meno edificanti che mettevano l'accento piuttosto sull'impostura di Manco Capac, già adombrata nel racconto di Oliva. Secondo queste versioni Manco sarebbe stato il figlio di un capo locale, educato fin dalla fanciullezza a credersi figlio del Sole e avrebbe finito per identificarsi talmente nella parte al punto di dimenticare la sua vera origine. Al momento opportuno, quando cioè sarebbe apparso agli ingenui abitanti dell'altipiano andino, avrebbe impersonato il proprio personaggio con una naturalezza così spontanea da convincere facilmente i suoi futuri sudditi ad accettarlo come sovrano.Accanto a questo mito, raccolto nelle "Informaciones a Vaca de Castro", esiste anche una variante francamente dispregiativa che sostituisce il genitore di Manco con una fattucchiera di dubbia moralità che lo avrebbe allevato con lo scopo di preparare l'inganno sulla sua nascita aiutandosi con pratiche magiche e ignobili sortilegi. Queste versioni, ovviamente, furono il risultato di racconti attinti presso le etnie nemiche degli Inca e a loro soggette prima dell'arrivo degli Spagnoli. Le riporta, tra gli altri, Felipe Guaman Poma de Ayala nella sua Nueva Corónica y Buen Gobierno.



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Aztechi


Gli Aztechi furono una delle grandi civiltà precolombiane, la più florida e viva al momento del contatto con gli ispanici. Si svilupparono nella regione mesoamericana dell'attuale Messico dal secolo XIV al XVI.In nahuatl, il linguaggio nativo degli Aztechi, "Azteco" significa "colui che viene da Aztlan": una regione mitica nel nord del Messico. Gli Aztechi si riferivano a loro stessi come Mexica o Tenochca: l'uso del termine "aztechi" come termine generico per designare tutte le genti accomunate da tradizioni, abitudini, religione e lingua ai Mexica è stato introdotto dal geografo tedesco Alexander von Humboldt per distinzione dagli attuali messicani.Civiltà precolombiane :  Atzechi, Inca , Maya, Una storia indelebile. 200px-Aztec_Sun_Stone_Replica_cropped
La società azteca precolombiana fu una società complessa ed altamente stratificata che si sviluppò tra gli Aztechi del Messico centrale nei secoli che precedettero la conquista spagnola. Si basava sulle fondamenta culturali di buona parte della Mesoamerica. Dal punto di vista politico la società si basava su Città-Stato indipendenti chiamate "Altepetl", composte di piccole divisioni chiamate Calpulli, a loro volta divise in uno o più gruppi familiari. Dal punto di vista sociale dipendeva da una divisione relativamente rigida tra nobili e cittadini liberi, entrambi divisi in gerarchie elaborate di stati sociali, responsabilità e potere. Economicamente la società dipendeva dall'agricoltura, e da un accentuato spirito guerriero; altri importanti fattori economici erano il commercio, sia locale che su lunghe distanze, ed un alto grado di specializzazione dei mercati. Anche lo svago era importante.Il nome “Atzechi” significa letteralmente “il popolo di Aztlan” ma a partire dalla migrazione nella valle dell’altipiano del Messico gli Atzechi si definirono come “mexica” da cui prenderà poi anche il nome l’odierno stato del Messico.Non si conosce il luogo esatto d’origine degli Atzechi ma si pensa che fossero originari di una zona a nord-ovest dell’odierna Città del Messico che oggi come durante l’impero atzeco è la capitale dello stato.Il nome originario di questa città era Tenochtitlan, contava circa 150 mila abitanti e venne fondata dagli Atzechi nel 1325. L’altopiano dove è situata sorge a 2240 metri di altitudine e a quel tempo era occupata da un lago poco profondo che venne poi prosciugato con l’arrivo dei conquistadores.Il popolo atzeco non conosceva altro metallo che l’oro e insieme ai semi di cacao veniva usato come forma di denaro.La loro civiltà era però decisamente urbanizzata, contava sontuosi edifici, molti templi e palazzi. Il cuore dell’universo spirituale era il Templo Mayor, una piramide composta da blocchi di pietra che terminavano in due picchi gemelli dedicati uno al dio della pioggia (Tlaloc) e l’altro alla divinità che aveva protetto la migrazione degli Atzechi fino a Tenochtitlan (ossia Hiutzilpochli).Gli atzechi usavano due tipi di calendario: il primo era quello sacro, comprendente 260 giorni all’anno, che veniva usato per la vita religiosa della popolazione; il secondo era quello solare, comprendente 365 giorni divisi in 18 periodi da 20 giorni ciascuni con un rimanente di cinque giorni all’anno che venivano considerati molto nefasti e di conseguenza ogni attività veniva sospesa. Questo calendario veniva invece utilizzato per la vita sociale dell’impero.La società era composta dall’imperatore, dai guerrieri e dai sacerdoti che facevano parte della nobiltà, dai commercianti e dagli artigiani per finire poi con i contadini e con i servitori.Il ruolo della donna non è ben definito se non dal fatto che essendo loro le madri dei guerrieri venivano onorate e partecipavano ai riti di fertilità. Ma benché non venissero particolarmente discriminate non godevano neppure della parità dei diritti con gli uomini.Per gli Atzechi tutta la natura era sacra, tutto era soprannaturale. Ogni fenomeno naturale diveniva manifestazione del divino. Alcune sculture zoomorfe testimoniano una religione animistica in cui il rapporto con il mondo naturale era sia venerato sia esorcizzato attraverso questi simulacri di pietra. I sacrifici rivestivano un ruolo molto importante specialmente durante le eclissi perché gli Atzechi ritenevano che fosse possibile la fine del giorno e della notte e di conseguenza anche della terra. Con i loro sacrifici rituali convincevano le divinità a far continuare la vita. Ma in generale il concetto di sacrificio era alla base di tutta la loro visione del mondo in quanto vedevano la morte come nient’altro che una rigenerazione.Le divinità atzeche erano circa cinquanta di cui alcune assimilate dalle popolazioni vicine. Le più importanti erano:HIUTZILPOCHTLI: dio del sole che proteggeva i guerrieri durante le battaglieTEZCATLIPOCA: signore dell’invernoTONATIUH: un altro dio del soleTOTA e TOTAN: coppia divina del cielo (padre e madre)XIPE TOTEC: dio della fertilitàTLALOC: dio della pioggiaMICHTLANTECUHTLI: dio della morteQUETZALCOATL: signore dei ventiGli Atzechi avevano anche un interessante mito della creazione o meglio quattro creazioni imperfette che si erano susseguite dopo la distruzione della precedente. La quinta era quella in cui vivevano gli Atzechi ma anche questa sarebbe finita a causa dei terremoti.Gli esseri umani furono invece creati da Querzalcoatl che dopo essere sceso negli inferi prese le ossa degli dei morti in precedenza e vi unì il suo sangue così da dare vita a tutta l’umanità.Per il popolo atzeco il fegato era considerato come sede dello spirito e della vita mentre la testa era sede del destino e il cuore della conoscenza.La loro lingua era il NAHUATL che è ancora oggi parlato correntemente in tutto il Messico. A seguito della conquista spagnola e della loro smania di convertire, molti dei documenti atzechi vennero distutti per sempre e con loro la possibilità per molto tempo di comprendere il loro linguaggio figurato. I documenti erano infatti ricoperti di disegni che solo sul finire degli anni 50 furono interpretati da Joquìn Galarza. Ogni disegno rappresentava infatti sia un concetto sia un suono e di conseguenza più disegni rappresentavano delle parole e delle frasi.Il più famoso documento miracolosamente sopravvisuto allo “sterminio” culturale fu il Codex Mendoza oggi conservato ad Oxford.Il 1519 segnò l’anno dell’arrivo di Hernàn Cortés a Veracruz. Venne accolto da Montezuma II (imperatore dal 1502 al 1520) con dei doni ma quest’ultimo fu da lui fatto prigioniero e morirà poco dopo in circostanze sospette.Nel 1521 l’ultimo imperatore venne catturato e si assistette così alla definitiva fine dell’impero atzeco. Anche l’ultima divinità cessò di esistere e con esso parte della storia di tutti noi.
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Le civiltà precolombiane sono quelle civiltà o culture delle Americhe che sorsero prima della colonizzazione europea delle Americhe.Queste civiltà avevano delle caratteristiche in comune: erano sedentarie, organizzate in città, praticavano l'agricoltura ed avevano un'organizzazione sociale gerarchica.Molte di queste civiltà erano ormai decadute al momento dell'arrivo degli europei (fine XV secolo - inizio del XVI) e sono conosciute solo attraverso i resti archeologici. Altre, invece, erano ancora vitali e sono conosciute grazie ai racconti dell'epoca. Poche di esse (come, ad esempio, i Maya), avevano dei resoconti scritti della propria storia.Dove ancora esistono, le società e le culture alla base di queste civiltà sono oggi sostanzialmente diverse da quelle originali. Tuttavia, molti di questi popoli e dei loro discendenti mantengono, tuttora, numerose tradizioni e pratiche che possono essere messe in relazione con quelle antiche, anche se sono spesso combinate con modifiche recenti.Le civiltà precolombiane sorsero in Mesoamerica ed in Sudamerica. E' tuttora in corso un acceso dibattito sulla data in cui le Americhe vennero popolate dall'Uomo, data che era un tempo considerata non antecedente a circa il 12.000 a.C. e che va invece sempre più spostandosi indietro nel tempo. In ogni caso, l'agricoltura stanziale nela valle del Messico centrale sembra iniziare attorno al 5.000 a.C. e le prime terrecotte sono databili a circa il 2.000 a.C.La principale cultura messoamericana, considerata tuttora la "cultura madre" per le capacità architettoniche e urbanistiche fu la civiltà Olmeca che ebbe inizio intorno al 1.500 a.c. fino al 200 a.c. circa.(fonte Misteri e scoperte dell' archeoastronomia- pagg. 164- Giulio Magli. 2006 Ed. Newton Compton.)( Soustelle-1996) Successivamente le principali furono: gli Aztechi, i Toltechi, i Maya, i Chibcha e gli Inca. Nel Nord America, invece, gli insediamenti umani non raggiunsero un livello culturale così elevato come le civiltà appena nominate, in parte, a causa della minore densità di popolazione ma, soprattutto, per le loro attività di seminomadismo.Nonsotante, alcune civiltà dell'America del Nord hanno lasciato importanti tracie archeologiche di costruzioni e urbanizzazione molto simile alle culture messico-andine. Il popolo degli Anasazi, antenati degli odierni Hopi e Zuni, vissuti intorno al 1.500 a.C. nella zona che oggi corrisponde agli Stati dell'Utah, Colorado, Arizona e Nuovo Messico. Erano agicoltori e costruttori di templi per uso astronomico-rituale come le piramidi di Sand Canyon (rif-Magli 2006.-) Era rilevante la presenza degli Indiani( nella moderna classificazione sia etnologica che storico-sociologica, la parola "indiani" riferita alle popolazione dell'America del Nord, è totalmente superata, trattandosi di un concetto che riporta l'errore noto di Cristoforo Colombo che credeva di essere arrivato alle Indie, nel suo viaggio del 1492(rif Magli-2006 ). Il termine oggi usato è "nativi americani" o "primi americani") che vivevano in pianure vicino laghi e fiumi.Le civiltà precolombiane non utilizzarono mai la ruota per fini pratici. Avevano però il concetto di arco e di volta nell'architettura (che derivano da quello di ruota): per questo tutti i ponti erano sospesi, come si può ben vedere nelle profonde valli andine, in cui furono costruiti ponti, realizzati con materiali vegetali, che erano delle vere e proprie meraviglie architettoniche.Inoltre, si può constatare lo scarso uso dei metalli per le guerre nonostante in altri ambiti il livello culturale fosse particolarmente elevato, come nell'osservazione degli astri, nella notazione del tempo (ad es. il calendario maya), nell'oreficeria e nell'artigianato.Un altro elemento delle culture precolombiane, che raggiunse un alto grado di sviluppo, fu l'edificazione di templi e siti religiosi monumentali, come dimostrano le zone archeologiche di Cusco, Machu Picchu e Nazca nel territorio dell'Impero Inca, nelle Ande; e Teotihuacan, Templo Mayor a Città del Messico, El Tajín, Palenque, Tulum, Tikal, Chichen-Itza, Monte Albán in Mesoamerica.
L'arte precolombiana raggiunse una notevole diversificazione sia a causa del vasto territorio sia per le differenti condizioni economiche, culturali e sociali. Se nelle società più progredite si svilupparono sia le arti figurative sia le costruzioni di opere monumentali religiose e pubbliche, nel resto del continente la produzione non andò oltre il livello tribale.[1]Civiltà precolombiane :  Atzechi, Inca , Maya, Una storia indelebile. 220px-Maschera_azteca%2C_roma%2C_museo_etnograficoCiviltà precolombiane :  Atzechi, Inca , Maya, Una storia indelebile. Magnify-clip
Maschera azteca


Nell'America Settentrionale gli Eschimesi ornarono con scene realistiche le teste di arponi, pipe e di altri oggetti di uso quotidiano, oltre a decorare le rocce dell'Alaska con pitture figurative e realizzare statuine in legno o in avorio.Nelle regioni nordoccidentali le prime forme di scultura furono eseguite sulla pietra, seguite nel corso del tempo da quelle sul legno, che raggiiunsero buoni livelli di armonia, come nel caso dei pali totemici. Lo stile si mantenne nel tempo figurativo, e le immagini rappresentate furono quelle umane e animali. La scultura in legno era affidata agli uomini, mentre le donne si occupavano di fabbricare pregevoli coperte con temi simili alle sculture.Nelle grandi pianure del nord l'arte più diffusa fu la pittura naturalistica, dapprima a motivi geometrici e poi raffigurante scene di caccia e di guerra.Nell'area comprendente l'Arizona e il Nuovo Messico, prima del 1000 d.C. fiorì la produzione di ceramiche, di mosaici raffiguranti divinità e animali in stile realistico, di decorazioni con affreschi a carattere mitologico.Civiltà precolombiane :  Atzechi, Inca , Maya, Una storia indelebile. 220px-Palenque_palace_2Civiltà precolombiane :  Atzechi, Inca , Maya, Una storia indelebile. Magnify-clip
Strutture architettoniche Maya


Nell'America Centrale, la produzione artistica più antica fu quella olmeca, contraddistinta da enormi statue e maschere in giada a cui seguì l'arte tolteca (450-1000 d.C.), caratterizzata da un'architettura monumentale e dalla lavorazione della creta.Se gli Zapotechi si distinsero per la lavorazione dei metalli, gli Aztechi, a partire dal 1300 circa, fecero grande uso di sculture e architetture a fini religiosi e politici, tra le quali strutture piramidali ornate con imponenti bassorilievi. Inoltre raggiunse alti livelli di qualità la produzione di mosaici, la ceramica e i lavori in piuma.I Maya toccarono i vertici artistici nell'architettura, come evidenziato dai templi, dai monasteri, dagli osservatori astronomici, costruiti con piante complesse e soffitto a pseudovolta. Le pitture vivaci apparvero più che altro decorative e raffiguranti cerimonie e sacrifici, mentre le sculture celarono ragioni simboliche.Articolata e suddivisa in ben sette fasi storiche fu l'arte andina, dal periodo tessile-ceramico a quello architettonico-scultoreo avente il tema principale del demone-felino. fonte : http://anno2012.secretsstories.com/
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