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 CONSAPEVOLEZZA : IL POTERE STÀ NEL VOLERE.........

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MessaggioTitolo: CONSAPEVOLEZZA : IL POTERE STÀ NEL VOLERE.........   CONSAPEVOLEZZA : IL POTERE STÀ NEL VOLERE......... Icon_minitimeMer 30 Nov 2011, 18:34

LA CONSAPEVOLEZZA, o “presenza mentale” (in inglese “mindfulness”, in
francese “pleine conscience”), è l’energia che ci aiuta a riconoscere e
accogliere “ciò che è”, ovvero ciò che esiste o avviene in noi e
intorno a noi nel momento presente. Praticarla genera calma interiore,
migliora la capacità di discernimento e consente di agire al meglio
(piuttosto che reagire), nelle varie situazioni.
Riunendo corpo e mente attraverso la consapevolezza ci diamo la
possibilità di rallentare il ritmo a volte frenetico della nostra vita,
di riposare e di poter dunque entrare in contatto profondo con le meraviglie della vita
che sono sempre disponibili in noi e intorno a noi nel momento
presente: il canto degli uccelli, la luce della luna, la freschezza di
un fiore, gli occhi di un bambino, i nostri stessi occhi e orecchi che
ci permettono di vedere e sentire tutto questo.

Sviluppiamo anche la capacità di vedere i semi della sofferenza
che giacciono nel profondo della nostra coscienza – rabbia, gelosia,
avidità, illusione… – e della coscienza collettiva – fame, malattia,
ingiustizia, oppressione… – primo passo per poterli comprendere e
trasformare.

La pratica della consapevolezza ci conduce fuori dal circolo chiuso
di emozioni e pensieri costantemente rivolti al passato (rimpianti,
rimorsi, rancori…) o al futuro (sogni a occhi aperti, ansie, paure…) nei
quali viviamo costantemente immersi senza neanche rendercene conto, e
ci aiuta a radicarci nel presente, nel qui e ora, l’unico momento in cui
la vita è realmente a nostra disposizione.

La pratica consiste da una parte in forme differenti di meditazione,
dall’altra nel portare piena attenzione a ogni singolo atto della vita
quotidiana. Questo allenamento a vivere in modo consapevole produce di
per sé un effetto benefico di calma, di chiarezza e capacità di ascolto e
comprensione, e la gratificazione che ne deriva costituisce a sua volta
un incoraggiamento a proseguire nella pratica, che per dare frutti
duraturi richiede di essere coltivata nel tempo.
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In quanto fondata sull’esperienza personale e diretta, la pratica
della consapevolezza non può essere appresa attraverso la semplice
lettura di libri o la partecipazione a lezioni teoriche. Per riuscire a
viverla in ogni aspetto della propria vita è di grande sostegno
sperimentarla e approfondirla insieme ad amici che nutrono la medesima
aspirazione e a insegnanti che testimoniano con la loro presenza la
semplicità e la bellezza di questo modo di vivere.



L'arte della consapevolezza



CONSAPEVOLEZZA : IL POTERE STÀ NEL VOLERE......... Images?q=tbn:ANd9GcT-nciFYPfeHM9wgxst-Buj3sEDYhVWTwjPkFxy08DF8CxxD2labQ
È la capacità di prestare attenzione senza farsi travolgere dal flusso
dei pensieri, di vivere appieno le esperienze e guardare il mondo con
entusiasmo. E oggi la mindfulness, che deve molto agli insegnamenti del
buddhismo e dello Zen, è ormai un valido strumento terapeutico.


By

TIkkuna Anthony Olam II

COSCIENZA E CONSAPEVOLEZZA NELLA PERCEZIONE DEL MONDO


Cosa vuol dire essere coscienti? Cosa vuol dire essere consapevoli? Quali sono le caratteristiche e le differenze tra questi due stati mentali? Questo è quello che cercherò di spiegare qui di seguito.
Cominciamo dalla coscienza. Come funziona? Siamo sempre coscienti della realtà?
La prima cosa importante da dire è che non possiamo mai essere coscienti di tutto ciò che accade dentro e fuori di noi in un determinato momento, questo a causa della limitata capacità di elaborazione delle informazioni da parte del nostro cervello, ad esempio, adesso sicuramente non siamo coscienti del nostro piede, della parte su cui poggia, lo diventiamo nel momento in cui vi prestiamo attenzione.
Per prendere coscienza di qualcosa, è necessario quindi prestarvi attenzione, chiedendoci implicitamente “cos’è?” o “cosa sta (o sto) facendo?”.
Nel momento in cui rispondiamo ad una di queste domande è come se facessimo un'istantanea, è come se fermassimo l’attimo e lo definissimo sulla base delle informazioni in nostro possesso (infatti, un’altra componete importante nella presa di coscienza è la memoria).
Appare quindi evidente che esistono diversi “gradi di coscienza”: saremmo tanto più coscienti di una cosa, quante più saranno le informazioni ad essa connesse.
La funzione della coscienza è quella di descrivere ciò che vede in modo oggettivo.
Nel moltitudine di stimoli/informazioni che ci colpiscono, noi ne selezioniamo alcuni sulla base dell’obbiettivo da raggiungere (ad esempio, se abbiamo sete, ci chiederemmo cosa possiamo bere per dissetarci, non trovando quello che stiamo cercando ci chiederemmo dov’è stato spostato, prenderemmo così, di volta in volta, coscienza della situazione oggettiva di quel determinato momento). In altre parole la coscienza fa delle istantanee, tutto ciò che rimane al di fuori dell’istantanea, compreso ciò che sta tra due stati di coscienza, rimane incosciente legato cioè ad automatismi innati o appresi (ce ne possiamo accorgere quando, guidando una macchina per giungere ad una determinata destinazione, invece di fare il percorso nuovo, sbagliamo strada percorrendone una che abbiamo fatto molte altre volte.
Descritto cosa vuol dire “essere coscienti” vediamo ora cosa vuol dire “essere consapevoli”.
Abbiamo visto che l’uomo può monitorare il raggiungimento di un determinato obiettivo prendendo coscienza di tanto in tanto del punto in cui si trova. Potremmo definire questo livello “metacoscienza” in quanto, la persona, è in grado di osservare più stati di coscienza e descriverne le differenze per vedere se qualcosa è cambiato tra uno stato e l’altro.
La persona si limita a descrivere ciò che vede ma, raffrontando più “istantanee”, è in grado di descrivere un eventuale cambiamento.
L’esempio della fotografia istantanea può andar bene anche per spiegare come si genera la consapevolezza.
Con una sola foto non è possibile andare molto al di là di ciò che vediamo. Se, ad esempio, abbiamo fotografato un oggetto mai visto prima, possiamo descriverlo, ma ogni altra affermazione potrebbe essere tanto vera quanto falsa. Se noi facciamo una sequenza di foto e le guardiamo tutte assieme possiamo, ad esempio, aver coscienza di un movimento dell'oggetto. Il "movimento" però è una relazione, non è più una caratteristica dell'oggetto (si muove in quanto si sposta in relazione alle altre cose incluse nella foto). Finché ci limitiamo a descrivere il movimento, ci limitiamo a prenderne coscienza ma nel momento in cui ci chiediamo "perché (si muove)?" cioè qual è il significato, il senso di quel movimento, cerchiamo di prendere consapevolezza della relazione. Perché dico questo? Perché, la differenza essenziale tra coscienza e consapevolezza è che la prima si limita a descrivere ciò che vede, la seconda invece cerca di darne un senso ma, per dare senso a qualcosa, bisogna andare al di là dell’informazione data, a questo punto entra in gioco una componente soggettiva: ecco perché non può mai esistere una sola verità. O meglio, coscientemente può esistere, ma consapevolmente, no. Se chiedo ad una persona “Perché l’hai fatto?” le sue motivazione, il legame che essa costruirà tra le parti, potrà essere completamente diverso da quello che costruisco io, perché il legame è dato anche dalle proprie esperienze, dal proprio vissuto, dalla propria storia.
Questo si mostra, ad esempio, quando andiamo a vedere dei monumenti o, ancor meglio delle opere d'arte mai visti prima. Vedendoli diremmo "che bello questo" o "che brutto quello" sulla base del concetto di bello e di brutto che possiamo avere ma se ci venisse chiesto il significato di quello che stiamo vedendo non saremmo in grado di rispondere. Se però ci venisse spiegata la sua storia allora saremmo in grado di spiegarne il significato.
Il significato dell'oggetto risulta quindi dalle caratteristiche dell'oggetto e dalle relazioni che ha sviluppato nel tempo (la sua storia).
Appare evidente, anche qui, che esistono più “gradi di consapevolezza”: il senso che noi diamo ad una determinata cosa, dipende dal numero e dal tipo di relazioni di cui veniamo a conoscenza; senso, giudizio, espresso il più delle volte sulla base di informazioni parziali e su un concetto di "giusto-sbagliato" non nostro. Ecco perché, solo quando capiamo che siamo condizionati nei nostri giudizi possiamo iniziare ad intraprendere un vero percorso di consapevolizzazione.



Qual è la differenza tra la
consapevolezza e l’essere testimone?


C’è una grande differenza tra
consapevolezza e l’essere testimone. L’essere testimone è ancora
un’azione; c’è qualcuno che lo sta facendo, l’ego è
lì presente. Per cui il fenomeno dell’essere testimone è
diviso tra soggetto e oggetto.
Essere testimone è una relazione
tra soggetto e oggetto.
La consapevolezza è completamente priva
di soggettività e oggettività.
Nella consapevolezza
non c’è nessuno che sia testimone; non c’è nessuno che
sia testimoniato. La consapevolezza è un atto totale, integrato;
il soggetto e l’oggetto non hanno nessuna relazione con essa; sono
dissolti. Quindi consapevolezza non significa che ci sia qualcuno che
è consapevole, nè che ci sia qualcosa a cui prestare
attenzione.
La consapevolezza è totalità,
è soggettività totale e oggettività totale uniti
in un unico fenomeno – mentre nell’essere testimone esiste una
dualità tra soggetto e oggetto. La consapevolezza è un
non fare, l’essere testimone implica qualcuno che fa. Ma attraverso
l’essere testimone è possibile arrivare alla consapevolezza,
perché essere testimone è un atto, ma conscio. Si
può fare qualsiasi cosa e non essere – la nostra attività
ordinaria è attività inconscia, ma se ne diventi
consapevole questo diventa essere testimone.
Quindi tra
l’attività ordinaria inconscia e la consapevolezza esiste un
salto che può essere colmato con l’essere testimone.


L’essere testimone è una tecnica, un
metodo verso la consapevolezza.

Non è consapevolezza ma, se paragonata
all' ordinaria attività inconscia è un gradino più
alto. Qualcosa è cambiato: l’attività è diventata
conscia, l’incoscienza è stata sostituita dalla coscienza.
Ma c’è ancora qualcosa da conquistare cioè
l’attività deve essere sostituita dall' inattività.
Quello sarà il secondo gradi
E’ difficile saltare dall' attività
ordinaria inconscia alla consapevolezza. E’ possibile ma difficile per
cui è utile che ci sia un gradino in mezzo. Se uno inizia dall'
attività conscia dell’essere testimone, allora il salto è
più facile, cioè il salto nella consapevolezza senza
nessun oggetto conscio, senza nessun soggetto conscio, senza nessuna
attività conscia.
Questo non significa che la consapevolezza
non sia coscienza; è pura coscienza ma non vi è nessuno
che sia conscio di essa.


C’è una ulteriore differenza tra
coscienza e consapevolezza.
La coscienza è una qualità
della mente ma non è la mente in toto.
La mente
può essere conscia o inconscia ma quando trascendi la mente non
c’è inconscio. E neanche una coscienza corrispondente.
C’è consapevolezza.

Consapevolezza vuol dire che la
totalità della mente è diventata consapevole.

Ora la vecchia mente non esiste più ma c’è la
qualità dell’essere conscio. La consapevolezza è
diventata totale, la mente in se stessa è diventata parte della
consapevolezza. Non si può dire che la mente è
consapevole, si può solo dire in un modo significativo che la
mente è conscia.
Consapevolezza
vuol dire trascendere la mente, per cui non è la mente ad essere
consapevole. E’ solo trascendendo la mente, andando oltre la mente che
è possibile la consapevolezza.

La coscienza è una qualità della
mente, la consapevolezza è il trascendere, è andare oltre
la mente. La mente come tale è in mezzo alla dualità,
quindi la coscienza non può mai trascendere la dualità.
E’ sempre conscia di qualcosa, c’è sempre qualcuno che è
conscio. La coscienza quindi è una parte, un frammento della
mente e la mente come tale è la sorgente di ogni dualità,
di ogni divisione. Divisione tra soggetto e oggetto, attività e
inattività, coscienza e incoscienza. Ogni tipo di dualità
è mentale. La consapevolezza è non duale, quindi
significa stato di non mente.

Quindi qual è la relazione tra la
coscienza e l’essere testimone?
Essere testimoni è uno
stato, la coscienza è un mezzo verso l’essere testimoni. Se uno
inizia ad essere conscio, si arriva all’essere testimone. Se uno inizia
ad essere conscio delle proprie azioni, conscio degli avvenimenti delle
giornate, giorno per giorno, conscio di tutto ciò che è
intorno, allora inizia ad essere testimone.
L’essere testimone arriva come una conseguenza
dell’essere consci. Non si può praticare l’essere testimoni, si
può solo praticare l’essere consci. Lo stato di testimone arriva
come conseguenza, come un’ombra, un risultato, un prodotto.
Più diventi conscio più vai verso lo stato di testimone.

Quindi essere consci è un metodo
per arrivare alla consapevolezza.
E il secondo passo è che l’essere
testimone diventa un metodo per arrivare alla consapevolezza.

Ci sono quindi tre gradini: coscienza, essere
testimone, consapevolezza.

Ma lo spazio in cui ci troviamo di solito
è il gradino più basso cioè quello
dell’attività inconscia. L’attività inconscia è lo
stato abituale della nostra mente.
Attraverso l’essere consci si può
arrivare ad essere testimoni, e attraverso l’essere testimoni si
può arrivare alla consapevolezza e, attraverso la consapevolezza
si può ottenere il “non-ottenere”.
Attraverso la consapevolezza si può ottenere tutto quello che
è già stato ottenuto. Al di là della
consapevolezza non c’è nulla, la consapevolezza è alla
fine.

La consapevolezza è al termine del
progresso spirituale.

Nella consapevolezza si perde il testimone e
rimane solo il testimoniare, si perde colui che fa, si perde la
soggettività, si perde la coscienza egocentrica. A quel punto
rimane solo la coscienza senza l’ego. Rimane la circonferenza senza il
centro.
La circonferenza senza il centro è
consapevolezza. Coscienza senza alcun centro, senza alcuna sorgente,
senza motivazione, senza una sorgente da cui derivare – una coscienza
senza sorgente – questa è consapevolezza.
Quindi ci si muove dall’esistenza
inconsapevole, che è la materia, prakriti, verso la
consapevolezza.
Potete chiamarlo “il divino”, “la divinità” o in qualunque modo
volete; tra la materia e il divino la differenza sta sempre nella
consapevolezza.



Osho: Meditation: The Art of Ecstasy



[b]Ma che cos’è la coscienza?[/b]


Con il termine coscienza si intende uno stato soggettivo di
consapevolezza sulle sensazioni psicologiche (pensieri, sentimenti,
emozioni), e fisiche (tatto, udito, vista.) proprie di un essere umano e
su tutto ciò che accade intorno ad esso. La soggettività della
coscienza è data dal fatto che ogni persona ha una propria modalità di
rapportarsi alle esperienze e tale modalità dipende in gran parte da un
determinato stile culturale di appartenenza. Ma cosa determina questa
consapevolezza? Quali sono i canali grazie ai quali un uomo è
consapevole di se stesso e del mondo circostante? In un individuo la
consapevolezza di se stessi e dell'ambiente si struttura grazie ad un
insieme di funzioni psico-fisiologiche come la percezione, la memoria,
l'attenzione, l'immagazzinamento e l'elaborazione delle informazioni,
tutte dipendenti l'una dall'altra e controllate dal cervello. Tutte le
informazioni, sia esterne che interne, passano attraverso i nostri
organi recettori (occhi, naso, recettori muscolari) e, dopo aver
raggiunto il sistema nervoso, vengono da quest'ultimo elaborate. La
coscienza, quindi, è un processo che dipende esclusivamente
dall'attività del nostro corpo. In alcune culture non occidentali la
coscienze è considerata come un'essenza metafisica, spirituale non ben
definita distaccata dal corpo e dalle leggi della fisica e dotata di una
propria autonomia. Essa è, in molti sistemi culturali, paragonata
all'anima. Tuttavia l'accezione metafisica della coscienza è solo una
astrazione filosofica che non ha alcun fondamento nella realtà e trae
origine da diverse credenze religiose come un puro atto di fede.







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