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 Luoghi misteriosi 2011

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MessaggioTitolo: Luoghi misteriosi 2011   Luoghi misteriosi 2011 Icon_minitimeSab 15 Ott 2011, 14:39


Luoghi misteriosi 2011 Stargate03_01


Luoghi misteriosi 2011Luoghi misteriosi si trovano intorno alla Terra, e, inspiegabilmente, gli UFO sono spesso situati in prossimità di queste aree mistica. Aerei e navi inspiegabilmente scompaiono nel famigerato Triangolo delle Bermuda. Strane anomalie magnetiche nella zona del Messico del Silenzio non solo hanno disegnato i missili fuori il loro corso, ma sembrano tirare meteoriti dal cielo. Un antico portale scolpito in una parete di roccia a strapiombo in Perù Puerta de Hayu Marka si dice che sia un portale per altri mondi. Altopiano Markawasi è pieno di strane formazioni rocciose presumibilmente lasciata da un'antica civiltà avanzata. Quali collegamenti fare questi e altri "punti caldi" condividere? E 'possibile che anche gli extraterrestri antichi conoscevano questi luoghi misteriosi.



Servizio video della Gazzetta di Parma - TG PARMA
in cui viene citato luoghimisteriosi.it
Prefazione di Isabella Dalla Vecchia - Le coincidenze del calice di vetro

Questo
straordinario calice di vetro, uno dei pezzi più belli, antichi e
misteriosi del Duomo, è stato rinvenuto nella tomba di un monaco
francese proveniente da Rennes. La tomba si trovava al centro esatto del
presbiterio, precisamente sottostante l'area in cui di celebra
l'eucarestia.
La lunetta del Duomo, sopra il portale,
mostra un fanciullo che raccoglie il sangue di Gesù in un anfora, il
Cristo inoltre è stranamente raffigurato con gli occhi aperti, simbolo
di Resurrezione o anche conoscenza.

Ci sono molte coincidenze che porterebbero
ad anche solo immaginare che questo straordinario oggetto possa avere a
che fare con la reliquia più importante e ricercata dell'Umanità.
Nessuno sa neppure se esiste il Sacro Calice, certo è che poter trovare
quei segnali che lo circondano ci fa a volte sentire come gli antichi
cavalieri (raffigurati tra l'altro nella lunetta) alla perenne ricerca
del Graal.


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Le vicende di San Moderano e il miracolo del ramo
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Sono secoli di storia molto intensa e gloriosa, ma anche di
affascinanti misteri, quelli che accompagnano lo splendido Duomo di
Berceto, tappa “d’obbligo” dell’antica Strada di Monte Bardone, meglio
conosciuta come Strada Romea e Via Francigena poi. L’inizio della sua
storia è da collocarsi nell’VIII° secolo e protagonisti ne sono due
grandi personaggi: il Re longobardo Liutprando che, qui, decise di
costruire un monastero a presidio della via di Monte Bardone
(importante direttrice tra il Nord ed il Sud Europa, specie per i
Longobardi stessi) ed il Vescovo di Rennes Moderanno (o Moderano) che,
mentre sostò nella chiesa del monastero dedicata a Sant’Abbondio
Martire, sentì profondo il bisogno di vita contemplativa. Ed è proprio
attorno alla figura del vescovo transalpino che, alla guida della
diocesi di Rennes nell’VIII secolo, che si verificò il primo,
straordinario evento. Per compiere il pellegrinaggio a Roma, con
l’obiettivo di onorare la sepoltura dell'Apostolo Pietro, il Vescovo
Moderano lasciò la sua città e si spinse verso il Mezzogiorno.

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Lungo la sua strada si
trovava Reims, la città in cui era sepolto San Remigio, il convertitore
dei Franchi. Moderano ottenne qualche reliquia, da portare con sé
verso Roma. Giunto al Passo della Cisa, nei pressi quindi di Berceto,
si fermò per riposarsi, ed attaccò ai rami di un albero le reliquie di
San Remigio, il Predicatore dei Franchi.

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Ripartendo, si dimenticò
di quel prezioso bagaglio e quando, accortosene, tornò indietro per
riprenderle trovò che non poteva più raggiungere il ramo. Questo,
infatti, si era inspiegabilmente ed improvvisamente sollevato. Visto
inutile ogni sforzo, il pellegrino promise di donare le reliquie, se
avesse potuto riottenerle, al monastero della vicina Berceto, e
soltanto allora il ramo si abbassò, permettendo al vescovo francese di
raccogliere le reliquie, come un prodigioso frutto di santità.

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Fu così che Berceto, nota
località montana sull'Appennino parmense, venne ad avere, nel suo
monastero benedettino, alcuni resti di San Remigio, mentre il Vescovo
di Rennes, Moderano, venne nominato da Liutprando, Re dei Longobardi,
Priore di quello stesso monastero. Moderano tornò inizialmente in
Francia, ma non per rimanervi. A Reims fece simbolico dono del
monastero di Berceto all’abbazia di San Remigio; a Rennes, dette le
dimissioni da vescovo, e fece eleggere un successore.

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Fece quindi ritorno a
Berceto, e vi restò fino alla morte, sopraggiunta pochi anni dopo e
seguita quindi dalla canonizzazione del presule. Soltanto nel secolo
scorso le sue reliquie vennero trasferite a Rennes, accolte con molto
onore dalla città che, tutto sommato, avrebbe anche potuto considerare
San Moderano come un Vescovo rinunziatario e fuggitivo. E’ noto
tuttavia che il culto dei Santi non è vendicativo né astioso e che la
coltre del tempo attutisce le possibili asperità della storia, e ancor
più quelle della leggenda. Così la vicenda di San Moderano, e delle sue
reliquie che vanno e vengono dall'Italia alla Francia, da Reims a
Berceto, è tutta sfumata nella leggenda, anche se ricca di suggestione e
di significato.

Il misterioso ritrovamento del "calice di vetro"
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Il gioco sottile di luci ed ombre
all'interno del Duomo sembra quasi velare e svelare alcuni segreti di
questo antichissimo edificio, della sua storia, soprattutto quella
monastica, meno documentata e studiata. Non sono infatti rimaste molte
tracce del monastero che sorgeva accanto alla chiesa. Gli scavi
effettuati negli ultimi 30-40 anni, hanno comunque portato alla luce
resti di precedenti ed importanti costruzioni.
Nel corso, in particolare, di lavori effettuati nel 1971, sotto
l’altare maggiore venne alla luce una tomba e qui fu rinvenuto uno
straordinario calice di vetro, uno dei pezzi più belli, antichi e
misteriosi del Duomo, che diede per altro il via, di fatto,
all’allestimento del Museo del Duomo. Si tratta di un oggetto rarissimo,
probabilmente unico.

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La tomba, come evidenziato,
si trovava al centro del presbiterio e l’importanza dell’ubicazione,
la profondità del livello dello scavo e il carattere di povertà della
stessa (era infatti priva di insegne, di scritte sulla lastra tombale e
caratterizzata da una muratura povera, a secco, ed il capo del defunto
aveva come cuscino una pietra ed il giaciglio fatto in semplice asse
di castagno) fa ipotizzare che si tratti di una sepoltura risalente al
periodo della comunità monastica, perciò ascrivibile a periodi
antecedenti il sec.XI. Se tale datazione dovesse essere confermata,
questo calice di vetro potrebbe arrivare ad avere un interesse
incalcolabile. L’oggetto è di grande eleganza formale, con vetro
sottilissimo, delicato e molto fragile, con effetti iridescenti. Nel
piede e nella coppa le cordonature della soffiatura del vetro sembrano
conferire un tocco voluto di raffinatezza. Tale calice è stato composto
saldando insieme, con goccia di vetro, il piede, il gambo e la coppa.

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Del tutto affascinante e,
lo evidenziamo immediatamente, assai impraticabile una ipotesi che
vedrebbe associato questo calice nientemeno che alla Coppa dell’Ultima
Cena, vale a dire, tanto per essere chiari, al Santo Graal. Si tratta,
appunto, solo di una semplicissima ipotesi, che non trova conferme di
sorta. Una ipotesi a dir poco improbabile. Ma, come noto, ormai da anni
si susseguono innumerevoli teorie, e speculazioni, sul destino e sul
luogo in cui potrebbe essere custodito il Graal. Si va dalla Cattedrale
di Bar a Castel del Monte, dalla Cappella di Rosslyn (in Scozia) alla
chiesa della Gran Madre di Torino per arrivare a Rennes (guarda caso,
la città francese di cui era vescovo San Moderanno), ma anche alle
nostre Alpi. Per cinque secoli, il preziosissimo calice restò in
Bretagna affidato ai sacerdoti della chiesa Aquae Sulis. Nel VI secolo a
causa dell’avanzata di eserciti pagani si decise di trasportarlo in un
luogo più sicuro.

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Un sacerdote s’incaricò di
portarlo a Roma dal Papa, ma quando arrivò all’Isola Comacina (in
provincia di Como), a causa dell’invasione dei Longobardi, fu costretto
a fermarsi. Al Santo Graal fu dato il merito della resistenza riuscita
contro i Longobardi, e sull’isola fu costruita una chiesa in suo
onore. In un secondo tempo decisero di nascondere il calice in un luogo
sicuro e lo occultarono in un pozzo in una zona imprecisata della Val
Codera (provincia di Sondrio), da dove si persero le sue tracce. Ma,
visto questo legame di Berceto con i Longobardi, e l’intreccio storico
fra il percorso del Graal e le vicende dei Longobardi, ecco che anche
il Duomo di Berceto potrebbe, ipoteticamente, essere inserito fra le
località che, in qualche modo, hanno a che fare con la coppa
dell’Ultima Cena: che in questo luogo, per altro, avrebbe potuto forse
trovare la collocazione ideale in cui rimanere nascosta e ben
custodita. Magari, chissà, di nuovo fra le mani dei monaci come era
accaduto in Bretagna, quindi in Francia. Paese quest’ultimo,
estremamente legato al borgo di Berceto, attraverso la figura di San
Moderanno e, indirettamente, anche attraverso quella di San Remigio.

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E, diciamolo, anche per la
presenza della Via Francigena che, a Berceto, trova da sempre una delle
sue “tappe d’obbligo”. E sorgono, spontanee, anche alcune domande, che
rendono ancora più misteriosa la vicenda. A chi apparteneva quella
semplice tomba realizzata proprio al centro del presbiterio? Se la
sepoltura, in sé, era semplice e povera, resta comunque l’assoluta
importanza del luogo: quello in cui viene celebrata l’Eucarestia e si
rinnova quindi il sacrificio di Cristo. Come evidenziato si tratta, con
ogni probabilità, della tomba di un monaco. Ma perché, lo ribadiamo,
realizzarne la sepoltura al centro del presbiterio? Chi era questo
monaco? E perché non lasciare alcuna iscrizione? La sepoltura infatti,
lo ricordiamo, era priva di insegne, di scritte sulla lastra tombale e
caratterizzata da una muratura povera, a secco, col capo del defunto
appoggiato ad una pietra ed il giaciglio fatto in semplice asse di
castagno. E come mai seppellire un monaco insieme ad un calice? Si
trattava di un suo oggetto personale al quale era particolarmente
legato? O era forse lui, questo religioso, a custodire il Graal, al
punto di non voler rivelare la propria identità nemmeno sulla lastra
tombale? Domande che rendono ancora più affascinante il mistero e che,
per ora, trovano ben poche risposte.

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L'attuale edificio del
Duomo di San Moderanno è il risultato di numerosi interventi realizzati
sulla piccola “ecclesiola” dedicata a sant’Abbondio, a partire dalla
riedificazione della chiesa-abbazia voluta dal re longobardo Liutprando
nell'VIII secolo.Tre sono i periodi a cui risalgono i principali
interventi: quello longobardo, di cui parla lo storico Paolo Diacono
nella sua Historia Langobardorun (fine VIII secolo) attribuendo a re
Liutprando la fondazione del monastero di Berceto; quello romanico, di
cui rimangono tracce soprattutto nelle sculture e nella zona
presbiteriale, e quello rinascimentale dovuto all'intervento della
famiglia dei Rossi.
Del primo periodo, quello longobardo, come
evidenziato sono rimaste poche, ma importanti tracce, ascrivibili
appunto all’VIII secolo: un pluteo longobardo, parte di una recinzione
presbiteriale ora inserita nell'altare maggiore.

Il Crocifisso con gli occhi aperti e il fanciullo che ne raccoglie il sangue
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Uno degli elementi più interessanti è quello
dato dalla lunetta scolpita, inserita all’interno del magnifico portale
d’ingresso. Al centro spicca il Crocifisso, la cui tipologia rimanda ai
crocefissi lignei del XII secolo. Infatti Cristo è riprodotto vivo,
con gli occhi aperti, vincitore sulla morte. Altra caratteristica dei
crocefissi lignei è la presenza delle tabelle alle estremità del
braccio orizzontale con le raffigurazioni dei dolenti.

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A sinistra sono raffigurati
la Madonna in atteggiamento di composto dolore, un Santo anziano
(sembra difficile identificarlo con San Giovanni, e secondo molti
storici e studiosi dovrebbe trattarsi di Sant’Abbondio) ed un Vescovo
che apparentemente non ha un’aureola: si tratta certamente di San
Moderanno. Sulla destra, il centurione che colpisce il costato di
Cristo con la lancia ed un fanciullo che si appresta a raccogliere il
sangue in un’anfora. Seguono quattro soldati raffigurati in maniera
caricaturale, con i grossi elmi appuntiti e l’espressione truce.

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L’architrave mostra figure
simboleggianti i vizi, opera di un artista locale di cultura lombarda,
illustrano il Mistero della Salvezza, quindi del peccato e del riscatto
per mezzo del sacrificio di Cristo. Si tratta di una decorazione che
può essere interpretata come la riproduzione di una serie di temi
caratteristici dell’iconografia medievale senza un chiaro legame tra
loro.

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Da sinistra troviamo un
animale mostruoso, due leoni di cui uno con un uccello (quasi
sicuramente un corvo) che gli rode la schiena, un asino che suona
l’arpa, quella che sembra essere una famiglia composta da marito,
moglie e figliolo, tutti raffigurati con mani enormi, un grifone ed un
cavaliere che lotta con una sorta di centauro armato di arco. Evidente è
il senso etico generale del messaggio, che mette in guardia i fedeli
dai falsi profeti e dalla minaccia del male. Sugli stipiti, oltre ai
telamoni che reggono l’architrave, si fronteggiano un simbolo della
vita, la fiaccola, e quello tipico della tentazione, il serpente.

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Da segnalare anche, sul
portale nord, sul fianco sinistro del Duomo, due sculture raffiguranti
dei personaggi maschili, ora murate sul fianco sinistro del sacro
edificio. Uno dei due porta una grossa chiave, ma rispetto a quando
sostengono molti studiosi non sembra essere identificabile con San
Pietro. Un altro tema “romeo” è raffigurato nella lunetta: l’adorazione
dei Magi. I tre re Magi furono infatti percepiti dagli uomini del
medioevo come i precursori di ogni pellegrinaggio: furono i
“protopellegrini” che compirono il viaggio per incontrare Gesù.

La lapide della riflessione sulla vita e sulla morte
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Nell'edificio attuale le parti medioevali,
nonostante l'aspetto “neoromanico” della struttura, sono poche e
facilmente individuabili osservando i paramenti murari. Gli interventi
medioevali sono evidenti nella parte interna del muro perimetrale della
navata di sinistra, nelle due absidi laterali, nei pilastri e, infine,
nella parte bassa del tiburio, dove i conci di pietra sono di
dimensioni diverse. Le tre navate sono invece il frutto del rifacimento
voluto da Bertrando Maria Rossi. Il leone rampante, ripetuto più
volte, indica chiaramente la nobile famiglia dei Rossi, signori di
Berceto, ed in particolare lo stesso conte Bertrando, le sui iniziali
sono scolpite sullo stemma della prima colonna a destra dell’ingresso
principale. Dietro questo, nel medesimo capitello, pudicamente in
contro luce, i due cuori dello stemma di Pier Maria il Magnifico,
sembrano invocare l’ombra della misericordia divina sulle infedeltà
coniugali del Conte.

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Altro elemento di
particolare interesse è rappresentato dalla presenza, all’inizio della
navata sinistra, di un sarcofago in marmo bianco, sorretto da quattro
colonnine e sormontato da una cimasa a forma triangolare con stemma
imperiale e iscrizione. Il sarcofago contiene il corpo di San
Broccardo, predicatore tedesco, e nell’iscrizione si legge “Carolus
imperator fecit fieri hoc hopus S.Brocardi MCCCLII”. Chiaramente tale
iscrizione evidenzia che a fare realizzare questo sepolcro per
S.Broccardo fu nientemeno che l’Imperatore Carlo IV° di Boemia.
Un’altra iscrizione, incisa invece sul coperchio della cassa in piombo
che racchiude le ossa del santo, ricorda il passaggio da Berceto di
questo munifico imperatore. Il santo, vescovo di Würzburg, fu un monaco
anglosassone missionario, vissuto nell’VIII secolo e compagno di san
Bonifacio, che lo consacrò, secondo la tradizione, primo presule di
Würzburg nel 741. In realtà la versione della presenza delle sue
spoglie mortali a Berceto è meno attendibile di quella della sua
sepoltura a Würzburg, da cui le sue reliquie sarebbero state poi
traslate nel X secolo nel convento di Sant'Andrea, da lui fondato in
quella città nel 747.

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Passando invece al
presbiterio, è qui che si possono intravedere due casse plumbee
quattrocentesche. Esse contengono le ossa di San Moderanno e del martire
Abbondio. Reliquie ovviamente importantissime essendo del primo Abate e
patrono di Berceto (San Moderanno) e del martire a cui fu dedicata la
primissima chiesa del monastero. Incastonato invece al centro
dell’altare vi è il pluteo longobardo: in assoluto, insieme al calice
di vetro, il più prezioso ed antico reperto del Duomo. La simbologia
eucaristica, quindi, è evidente nei pavoni, simboli di immortalità, che
ai lati della croce si abbeverano a due calici; sotto, i cesti del
pane formati dai caratteristici vimini intrecciati.

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Quando si sta per uscire
dal sacro edificio, invece, lo sguardo non può che finire su una
ermetica e misteriosa scritta incisa su una lapide terragna addossata
alla parete interna della facciata, a sinistra per chi esce dal portone
principale. Reca la data 1638 e vi si legge “Ho tu che passi per
questa via torta e vai cerchado in questa ciecha via a me dimandi se la
marte è morta io non la vidi mai mortae ma viva”.

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Se è chiaro l’invito a
riflettere sul senso della vita e della morte, misterioso ne è
l’autore. Tuttavia l’iscrizione, all’interno della lapide, riguardante
la Confraternita del Santissimo Sacramento della Chiesa di San
Moderanno può essere già un significativo indizio.

Il Graal nel Tesoro del Duomo?
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Merita senz’altro di essere messo in evidenza questo piccolo ma
importante museo, realizzato in quella che, anticamente, era una
cappella settecentesca dedicata a Sant’Apollonia e, ancora più in
precedenza, probabilmente il battistero esterno o un muro dell’antico
chiostro del monastero. Nelle diverse vetrine è possibile ammirare
preziose suppellettili e vasi sacri: testimonianze artistiche e
devozionali dell’importanza che, nelle varie epoche, ha rivestito
questo luogo sacro.

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Fra i beni più preziosi
spicca il piviale che, secondo la tradizione, è appartenuto a San
Moderanno e, come tale, è pertanto venerato quale reliquia insigne. E’
realizzato in raso di seta verde con fodera in lino bianco, di forma
semplice. L’unico ornamento è il gallone terminale a fondo rosso con
ornati in azzurro cupo profilato di giallo, con teste di cane
affrontate e in ovati coppie di colombi recanti, nel becco, una voluta
vegetale stilizzata.

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Vi si leggono ancora
motivi ornamentali e due teste di pantera separate dal loro corpo nel
riutilizzo della pezza di stoffa in fascia ornamentale. Il gallone è
stato infatti ricavato dal taglio a strisce di una pezza di stoffa
finemente disegnata e tessuta.

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Sempre in questo ambiente è
custodito rarissimo, probabilmente unico, calice di vetro rinvenuto
nel 1971 durante le operazioni di scavo di una tomba al centro del
presbiterio. Altre preziose ed antiche opere rendono questo museo di
particolare interesse.
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